Introduzione alla radiointerferometria

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La radiointerferometria è la tecnica avanzata sviluppata dai radioastronomi per utilizzata molte antenne piccole invece di una troppo grande. Infatti, quando pensiamo ad un radiotelescopio, immaginiamo uno strumento di enormi dimensioni, dotato di una grandissima parabola che raccoglie le onde radio in arrivo dallo spazio. Utilizzando molti radiotelescopi più piccoli, la radiointerferometria migliora i risultati della ricerca in radioastronomia e consente l’uso di radiotelescopi più economici. Ad esempio, con questa tecnica l’Event Horizon Telescope (una collaborazione internazionale di più radiotelescopi di tutto il mondo) ha ripreso, ad aprile 2019, la prima radiomappa del un buco nero all’interno della galassia M87, con una incredibile risoluzione di 25 microarcosecondi!

 

Radiointerferometria: nozioni di base

Quando con un telescopio puntiamo una sorgente puntiforme, come ad esempio una stella, sul piano focale non si formerà un’immagine puntiforme poiché l’apertura circolare dello strumento fa si che i raggi diffratti generino sul piano focale un particolare “motivo” (più avanti “pattern”) spiegato per primo da George Airy nel 1835 con la sua “teoria ondulatoria della luce”, formato da regioni concentriche luminose alternate ad altre scure. Questi anelli, sempre più deboli man mano che ci si allontana dal centro del motivo, sono il prodotto della diffrazione ed hanno un picco nella zona centrale detta “disco di Airy”.

 

Introduzione alla radiointerferometria: il pattern di diffrazione per un oggetto di tipo stellare mostra al centro il picco detto Disco di Airy

Introduzione alla radiointerferometria: il pattern di diffrazione per un oggetto di tipo stellare mostra al centro il picco detto Disco di Airy

 

Il potere risolutivo ottico di un telescopio è legato alle dimensioni del disco di Airy che dipende dalla lunghezza d’onda λ della radiazione osservata ed il diametro D dello strumento. Utilizzando l’approssimazione per angoli piccoli, il disco di Airy ha una dimensione angolare data dalla equazione θ ≈1.22 λ/D: più grande è il diametro dello strumento, maggiore sarà la risoluzione teorica. Se ora ipotizziamo di osservare un oggetto celeste formato da 2 o più stelle disposte in maniera molto vicina le une alle altre, sul piano focale del telescopio ora i dischi di Airy si sovrapporranno, quindi sarà possibile “risolvere” ciascuna delle stelle solo se i picchi centrali di ciascun pattern non si sommeranno in maniera distruttiva, cioè quando loro distanza sul piano focale non è più corta del raggio del disco di Airy (regola nota come condizione di Rayleigh).

 

Introduzione alla radiointerferometria: condizione di Rayleigh che spiega come uno strumento “risolve” due stelle apparentemente vicine a causa della sovrapposizione dei loro pattern di diffrazione sul piano focale

Introduzione alla radiointerferometria: condizione di Rayleigh che spiega come uno strumento “risolve” due stelle apparentemente vicine a causa della sovrapposizione dei loro pattern di diffrazione sul piano focale

 

Tutto questo vale non solo per i telescopi ottici ma anche per i radiotelescopi che, a causa dell’elevata lunghezza d’onda a cui “osservano” il cielo, hanno una risoluzione limite molto più bassa di quelli ottici, a parità di diametro. Pensate che, per eguagliare la risoluzione dell’Hubble Space Telescope (2.4 metri di diametro), ALMA, uno dei più moderni radiotelescopi registra onde radio millimetriche, avrebbe bisogno di una parabola da 5 km di diametro.

 

I primi interferometri

Sulle proprietà interferenziali della luce si basa l’interferometro di Michelson: un fascio di onde elettromagnetiche provenienti dalla stessa sorgente (nel caso di un radiotelescopio, da un oggetto celeste) viene suddiviso in 2 parti indirizzate su percorsi diversi e successivamente fatte riconvergere. Se i 2 percorsi hanno lunghezze differenti o avvengono attraverso materiali diversi, avviene uno sfasamento del loro cammino ottico. Otterremo dei massimi d’intensità della luce quando l’angolo θ, formato dalla direzione della stella rispetto all’asse ottico dello strumento è tale per cui la differenza tra i percorsi dei 2 fasci è un numero intero di lunghezze d’onda (rispetto al centro della banda passante). Se le dimensioni angolari della stella sono piccole rispetto allo spazio tra 2 massimi adiacenti d’interferenza, l’immagine della stella sarà attraversata da un chiaro pattern di bande scure e chiare alternate, note come frange di interferenza. Se viceversa le dimensioni angolari della stella sono paragonabili alla spaziatura tra i massimi, l’immagine sarà il risultato della sovrapposizione di una serie di pattern lungo la stella, dove i massimi ed i minimi delle frange non coincidono e l’ampiezza della frangia verrà attenuata, com’è mostrato in figura sotto (b). Grazie a questa tecnica, nel 1920 Albert Michelson e Francis Pease costruirono il primo “interferometro stellare” con cui misurarono che il diametro della stella Betelgeuse fosse pari all’orbita di Marte.

 

Introduzione alla radiointerferometria: l’interferometro stellare di Michelson-Pease con cui nel 1920 venne misurato per la prima volta il diametro della stella Betelgeuse

Introduzione alla radiointerferometria: l’interferometro stellare di Michelson-Pease con cui nel 1920 venne misurato per la prima volta il diametro della stella Betelgeuse

 

Il primo radio interferometro risale invece al 1946 quando, ad opera di Ryle e Vonberg, venne usato per lo studio delle emissioni radio dallo spazio che pochi anni prima erano state scoperte per primi da Jansky, Reber ed altri. Questo interferometro era formato da un “array” (ovvero da un gruppo) di 2 antenne dipolo operanti a 175 MHz ed aventi una baseline D (ovvero una distanza tra le antenne) variabile tra 17 e 240 metri.

 

Introduzione alla radiointerferometria: schema dell’interferometro di Ryle e Vonberg

Introduzione alla radiointerferometria: schema dell’interferometro di Ryle e Vonberg

 

Era un cosiddetto “interferometro di transito”, una tipologia molto diffusa negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, che prevedeva di puntare le antenne sul meridiano locale, ad una certa elevazione, ed attendere che la rotazione terrestre provvedesse a far scorrere il cielo lungo l’ascensione retta. Se θ è l’angolo zenitale dell’oggetto da osservare ed è diverso da zero, le onde elettromagnetiche giungeranno prima all’antenna B (vedi figura sopra) e successivamente all’antenna A con un ritardo τ=(D/c) sin⁡θ, dove c è la velocità della luce. Il rivelatore del ricevitore, integrato nel tempo, genererà una risposta proporzionale alla somma quadrata delle tensioni dei 2 segnali simile al tracciato in figura sotto.

 

Introduzione alla radiointerferometria: risposta generata dal rivelatore dell’interferometro di transito, durante il passaggio di due forti sorgenti radio al meridiano, rispettivamente attorno alle ore 16:30 e alle 19:30.

Introduzione alla radiointerferometria: risposta generata dal rivelatore dell’interferometro di transito, durante il passaggio di due forti sorgenti radio al meridiano, rispettivamente attorno alle ore 16:30 e alle 19:30.

 

La moderna radiointerferometria

Gli innumerevoli progressi tecnologici degli ultimi anni hanno portato ad una grande diffusione dell’interferometria nella radioastronomia. Basti pensare alle grandi reti di radiotelescopi professionali che formano il VLBI, Very Long Baseline Interferometry, che opera dalla fine degli anni ’70 collegando diversi strumenti distribuiti in più parti del mondo, con l’intento di formare un unico grande strumento con diametro equivalente di migliaia di chilometri. Tra le reti più sensibili e performanti al mondo c’è l’EVN, Europe VLBI Network, che unisce i più grandi radiotelescopi europei per periodi di alcune settimane l’anno.

 

Introduzione alla radiointerferometria: le antenne della rete EVN, non comprendono soltanto elementi su suolo europeo.

Introduzione alla radiointerferometria: le antenne della rete EVN, non comprendono soltanto elementi su suolo europeo.

 

Tra le reti più celebri ricordiamo anche il VLBA, Very Long Baseline Array, che sfrutta 25 strumenti collocati lungo il continente americano; ALMA, un array di antenne che sorge sull’altopiano cileno a 5000 metri s.l.m. e che dal 2013 osserva il cielo nelle lunghezze d’onda da 0.3 a 9.6 mm; LOFAR, un interferometro gestito da ASTRON nei paesi bassi in grado di mappare l’universo a frequenze tra 10 e 240 MHz; SKA, lo Square Kilometre Array, un progetto ambizioso oggi in via di realizzazione che vedrà la realizzazione di 2 array garantendo una costante copertura delle frequenze da 50 MHz a 14 GHz.

 

Introduzione alla radiointerferometria: l’interferometro ALMA sulle Ande Cilene osserva il cielo a lunghezze d’onda millimetriche. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)

Introduzione alla radiointerferometria: l’interferometro ALMA sulle Ande Cilene osserva il cielo a lunghezze d’onda millimetriche. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)

 

Radiointerferometria con piccoli strumenti

Sebbene alcuni esperimenti di interferometria radio amatoriale risalgano agli anni ’80 del secolo scorso, è stato con l’avvento degli impianti TV Sat alla fine del secolo scorso che abbiamo assistito ad un progressivo aumento di sperimentazioni amatoriali, tuttavia condotti da pochi esperti di elettronica.

 

Introduzione alla radiointerferometria: un interferometro amatoriale che risale agli anni ’90, formato da due antenne TV Sat (realizzazione del radioastronomo Goliardo Tommassetti).

Introduzione alla radiointerferometria: un interferometro amatoriale che risale agli anni ’90, formato da due antenne TV Sat (realizzazione del radioastronomo Goliardo Tommassetti).

 

La sfida di creare un radio interferometro che fosse alla portata di gruppi di ricerca, scuole ed università è stata raccolta da PrimaLuceLab che, dopo aver già sviluppato i nuovi radiotelescopi Radio2Space SPIDER per la radioastronomia (con parabole fino a 5 metri di diametro e ricevitori per catturare la lunghezza d’onda dell’idrogeno neutro a 21 cm) ora ha presentato il progetto del proprio radio interferometro con l’installazione del primo array di 3 radiotelescopi da 5 metri di diametro presso il Sharjah Academy for Astronomy, Space Sciences & Technology vicino a Dubai (UAE).

 

Introduzione alla radiointerferometria: 3 radiotelescopi SPIDER 500A installati presso Sharjah Academy for Astronomy, Space Sciences & Technology

Introduzione alla radiointerferometria: 3 radiotelescopi SPIDER 500A installati presso Sharjah Academy for Astronomy, Space Sciences & Technology

 

Le difficoltà nella realizzazione del progetto di un interferometro sono innumerevoli: prima di tutto le antenne che formano l’array devono avere una elevata precisione meccanica, con una montatura che si occupa del puntamento delle grandi antenne e dell’inseguimento delle sorgenti radio dotato di una precisione simile a quella di un telescopio ottico. I radiotelescopi SPIDER infatti sono dotati di montature altazimutali a bassissimo backlash e con encoders capaci di leggere errori dell’ordine di pochi arcosecondi. Inoltre sono dotati di un illuminatore appositamente progettato per la lunghezza d’onda di 21 cm, in doppia polarizzazione, connessi a degli LNA a bassissimo rumore che amplificano il segnale prima che giunga al ricevitore. Per il funzionamento dell’interferometro, PrimaLuceLab sta sviluppando un dispositivo che trasforma la radiofrequenza in uscita dagli LNA in segnale ottico da inviare via fibra, anche a distanze chilometriche. In questo modo si elimina il normale cavo coassiale e quindi le perdite nel segnale tra le antenne e i ricevitori.

 

Introduzione alla radiointerferometria: schema dell’interferometro con 3 antenne d’esempio, ciascuna corredata dal proprio rack contenente ricevitore, backend, dispositivo di sincronizzazione temporale, storage dei dati e host computer.

Introduzione alla radiointerferometria: schema dell’interferometro con 3 antenne d’esempio, ciascuna corredata dal proprio rack contenente ricevitore, backend, dispositivo di sincronizzazione temporale, storage dei dati e host computer.

 

Nella sala di controllo, dall’altro capo della fibra il segnale verrà trasformato nuovamente in banda RF e collegato al ricevitore (uno per ogni antenna). Per mantenere una adeguata coerenza temporale verrà inoltre sviluppato un dispositivo di sincronizzazione per il timing dei radiotelescopi e per il sistema di acquisizione. Il segnale verrà quindi digitalizzato mediante un backend estremamente performante e che salverà i dati su disco per i successivi processi di elaborazione. I segnali provenienti da ciascuna antenna verranno quindi inviati al correlatore digitale che, basandosi sulla trasformata di Fourier, effettuerà i calcoli necessari alla correlazione del segnale e darà in uscita le funzioni di visibilità per ciascuna baseline delle antenne dell’array.

 

Introduzione alla radiointerferometria: i backend Radio2Space, uno per ogni radiotelescopio SPIDER, controllati dal software RadioUniversePRO.

Introduzione alla radiointerferometria: i backend Radio2Space, uno per ogni radiotelescopio SPIDER, controllati dal software RadioUniversePRO.

 

Grazie alla tecnica della radiointerferometria, stiamo sviluppando un interferometro dal prezzo relativamente basso che consentirà di usare contemporaneamente più radio telescopi per ottenere mappe ad alta risoluzione delle radio sorgenti dell’Universo. Il sistema sarà configurabile con un numero variabile di antenne e consentirà all’utente anche di aumentarne le prestazioni installando più antenne in un secondo momento. Grazie a questo sistema università, musei scientifici, planetari, istituti di ricerca ma anche gruppi di amatori avranno a disposizione uno strumento pronto all’uso ma potentissimo, che fino a ieri era alla portata solo dei ricercatori professionisti.

 

Salvatore Pluchino
Filippo Bradaschia

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